Oggi parliamo di:
Guerra in Iran, parliamone 💣
Powell vs Trump: è conflitto 💥
Iniziamo subito!
Guerra, petrolio e… borsa ai massimi? 🚀
Negli ultimi giorni le tensioni tra Israele e Iran hanno fatto tremare i bottoni delle camicie dei trader di mezzo mondo. Attacco militare israeliano, reazione iraniana, titoli sui giornali con parole come “crisi”, “escalation”, “Hormuz”… eppure, Wall Street sta lì, tranquilla, a un passo dai massimi storici. Come se nulla fosse.
Anche se l’istinto dice che “una guerra fa crollare i mercati”, la storia racconta altro. Ecco perché oggi, nonostante la fiammata del petrolio, la Borsa non ha (ancora) paura. O, almeno, finge molto bene.
La miccia accesa: perché la guerra dovrebbe spaventare? 😱
L’attacco del 13 giugno ha colpito non solo obiettivi militari, ma anche le previsioni di chi pensava che il Medio Oriente sarebbe rimasto, per una volta, fuori dai riflettori. In pochi minuti:
Il Brent è schizzato sopra i 74 dollari al barile;
Il WTI è salito del 14% nel giro di una notte;
Gli analisti hanno cominciato a rivedere al rialzo gli scenari inflattivi;
Perché? Perché il nodo è sempre quello: lo Stretto di Hormuz, una linguetta d’acqua che da sola regge il 21% delle forniture petrolifere mondiali. Se qualcuno lo blocca, anche solo per due giorni, i prezzi globali dell’energia impazziscono.
E se l’energia costa di più, torna l’inflazione. E se torna l’inflazione, addio ai tagli dei tassi che tanto ci stavamo gustando. La catena è semplice e pericolosamente fragile.
Eppure, nel pieno di questo caos, l’S&P 500 ha continuato la sua marcia. Come mai?
Mercati e guerra: una relazione complicata (e sopravvalutata) 📈
Qui viene il bello. La storia insegna che i mercati sono molto meno emotivi di quanto sembri. E soprattutto, sono spaventosamente bravi a ignorare guerre, attentati e crisi internazionali. Vediamo qualche dato:
📌 Secondo LPL Financial, l’S&P 500 ha reagito così a 25 eventi geopolitici dal 1941:
-1,1% in media il giorno dopo l’evento;
Massimo drawdown medio: -4,6% in circa 3 settimane;
Tempo medio di recupero: 40 giorni (18 giorni mediani);
E parliamo di eventi tosti: Pearl Harbor, 11 settembre, invasione del Kuwait, guerra in Vietnam. Roba che a confronto Israele-Iran è una litigata in condominio (con l’Iran che però ha un arsenale nucleare... dettagli).
📌 Ecco qualche caso concreto:
11 settembre 2001: S&P 500 -11,6% nei giorni successivi. Recupero? 1 mese e mezzo;
Invasione del Kuwait (1990): -17% in 3 mesi. Recupero completo in circa 9 mesi;
Guerra in Iraq (2003): il mercato è salito del 15% nei sei mesi successivi;
Insomma, la paura fa click sui giornali, ma non fa vendere le azioni.
Ma perché i mercati reggono così bene, anche oggi? 👀
Per tre motivi principali:
Iran non è economicamente rilevante per l’Occidente 📉
Non è che ci sia tanto export o legami finanziari. Anni di sanzioni hanno tagliato quasi ogni connessione. Le multinazionali americane non rischiano di perdere clienti, fornitori o supply chain strategiche. Il danno diretto? Minimo.Le economie avanzate sono più autonome sul piano energetico 🔋
Gli USA, primo produttore al mondo di petrolio, sono diventati molto meno dipendenti dal Golfo. Anche un blocco temporaneo di Hormuz farebbe male… ma meno di una volta. Inoltre:Ci sono scorte strategiche;
I prezzi alti incentivano nuova offerta (soprattutto dallo shale americano);
I consumi energetici sono diventati più efficienti;
La memoria storica degli investitori è corta. Volutamente 😉
Se ogni evento geopolitico provocasse un crash, i mercati non sarebbero dove sono. E invece:A 3 mesi da eventi drammatici, il mercato ha mediamente reso +2,3%;
A 6 mesi, +5,5%;
A 12 mesi, +7,8% (media), +11,4% (mediana);
Quindi sì: chi vende al primo missile, spesso poi compra più in alto!
Ma quindi possiamo dormire sonni tranquilli? ☺️
Tutto sommato, sì! Il rischio resta, e non è solo petrolifero. Se gli USA entrassero in guerra (e con Trump dietro l’angolo, tutto è possibile), il sentiment potrebbe girare. Come nel '41 o nel '90. Anche l’inflazione, se il Brent dovesse salire sopra i 100$, potrebbe tornare protagonista e raffreddare le aspettative sui tassi. In quel caso, il mercato soffrirebbe… per un po’.
Ma ricordiamoci sempre una cosa:
💡 La Borsa è un animale strano. Corre su emozioni di breve ma cresce su fondamentali di lungo.
Powell, Trump e l’arte di stare immobili mentre tutti urlano 🤔
Nel gran teatro dell’economia americana, l’ultimo atto ha tutto il sapore di una tragicommedia: da una parte Jerome Powell, il banchiere centrale impassibile, quello che sceglie ogni parola come se potesse far crollare il Nasdaq. Dall’altra Donald Trump, versione fuoco e fiamme, che accusa la Fed di sabotare la sua corsa alla Casa Bianca e propone, con la consueta modestia, di nominare sé stesso al vertice della banca centrale.
Benvenuti nel 2025, dove la politica monetaria è diventata campagna elettorale. E viceversa.
Nessuna mossa, molti nervi 😬
La Fed, nell’ultima riunione di giugno, non ha toccato i tassi. Li ha lasciati inchiodati tra il 4,25% e il 4,50%, esattamente dove stanno da dicembre. Una pausa lunga, meditata, chirurgica.
Nel comunicato ufficiale si legge prudenza, attesa, osservazione. Un atteggiamento zen, in un momento in cui:
Il PIL americano è stato rivisto al ribasso (dal 1,7% all’1,4%);
L’inflazione resta sopra il target, ma non esplode (attorno al 3%);
La disoccupazione è vista in salita, verso il 4,5%;
Powell ha ribadito il mantra: “Aspettiamo i dati. Non anticipiamo nulla. Non reagiamo agli insulti su Truth Social”.
Trump alla carica: “Buttano miliardi!” 💸
Trump, invece, non aspetta. Né dati, né prudenza. Chiede un taglio di 250 punti base subito. Secondo lui, i tassi alti fanno solo una cosa: bruciare miliardi in interessi sul debito federale.
Spoiler: ha ragione. Anche se, come sempre, solo in parte.
Il problema è che una discesa dei tassi così violenta rischierebbe di:
Far ripartire l’inflazione prima ancora che scenda sotto controllo;
Indebolire il dollaro in un momento già delicato per i flussi globali;
Alimentare nuove bolle speculative (crypto incoming?);
E poi c’è una questione più profonda: la credibilità della Fed. Tagliare i tassi sotto pressione politica manderebbe un messaggio devastante ai mercati. Powell lo sa. E fa spallucce. Con eleganza.
La Fed è divisa (ma non è una novità) 😜
Nemmeno dentro al board c’è pieno accordo.
10 membri del FOMC prevedono almeno due tagli da qui a fine anno;
7 membri non vogliono toccare niente;
Powell dice che è normale, che la realtà è fluida, che nessuno ha la sfera di cristallo. E in effetti, tra:
Nuovi dazi in arrivo (che possono alzare i prezzi);
Petrolio ballerino (vedi capitolo 1);
Rischi geopolitici crescenti (Trump incluso);
…fare previsioni è come tentare di suonare il violino su una barca in tempesta. Meglio restare immobili.
Il ruolo dei dazi: l’elefante nella sala riunioni 🐘
Le nuove tariffe introdotte dall’amministrazione Trump sono ancora in fase embrionale nei dati macro. Ma Powell ha già lanciato l’avviso: “Una parte del costo sarà scaricata sui consumatori”.
Tradotto: se i prezzi iniziano a salire per colpa dei dazi, il taglio dei tassi si allontana. Perché la Fed ha un solo compito davvero imprescindibile: tenere sotto controllo l’inflazione. Tutto il resto, elezioni incluse, viene dopo.
I mercati? Stanno alla finestra 👀
La reazione è stata tiepida, quasi professionale:
Dow Jones -0,1%, S&P 500 e Nasdaq invariati;
Treasury decennale al 4,39%;
Brent e WTI in leggero calo;
Euro-dollaro stabile a 1,14;
I mercati hanno capito il messaggio: nessuna svolta imminente. Si resta in attesa dei dati su inflazione e lavoro. E finché Powell non sbatte i pugni sul tavolo (spoiler: non lo farà), tutto resta sospeso.
Powell vs Trump: molto più di una polemica ⚠️
Questa non è solo una battaglia personale. È una prova di tenuta istituzionale.
Powell rappresenta l’indipendenza della banca centrale. La sua freddezza non è solo carattere: è strategia. Perché cedere alle pressioni politiche oggi significa perdere autorità domani. E quando i mercati capiscono che la Fed può essere manovrata… è finita.
Trump lo sa, e spinge. Powell lo sa, e resiste.
In mezzo, un sistema finanziario da 26 trilioni di dollari che guarda e prende appunti.
Outlook: settembre sarà il vero banco di prova 🎙️
Il primo taglio potrebbe arrivare a settembre. Potrebbe. Ma solo se:
L’inflazione continua a scendere;
L’impatto dei dazi resta contenuto;
L’economia dà segnali di rallentamento sostenibile;
Nel frattempo, l’unica certezza è che la campagna elettorale americana continuerà a invadere la politica monetaria. E che la Fed dovrà muoversi con la grazia di un equilibrista sotto gli occhi di un elefante arancione.
La nota positiva: la Fed c’è, e funziona 💪
Nonostante gli insulti, le pressioni, i tweet al vetriolo e i paragoni con la Corea del Nord, la Federal Reserve sta facendo il suo lavoro: mantenere i nervi saldi, osservare i dati, e non farsi travolgere dal rumore.
E questa è una buona notizia per tutti!
Perché alla fine, l’economia cresce quando c’è stabilità.
E la stabilità non si fa con i proclami, si costruisce un quarto di punto alla volta!
Anche questa settimana siamo arrivati alla fine della newsletter! Vediamo come si sono comportate le più grandi aziende al mondo:
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