Oggi parliamo di:
Caos nel mercato dei bond 💸
Dazi: ci risiamo 🇺🇸
Inflazione UK in rialzo 📈
Iniziamo subito!
Obbligazioni, downgrade e altre allegre notizie da un impero in saldo 🇺🇸
Altro che Big Beautiful Bill, qui c’è solo un Big Brutto Debito.
In teoria, questa doveva essere la settimana in cui festeggiare il dato sull’inflazione americana, uscito finalmente più basso delle attese. In pratica, i mercati si sono svegliati con un hangover da Washington-style fiscal madness.
Sì, perché mentre Wall Street brindava al +0,3% del CPI, il Congresso americano approvava – per un soffio – una legge chiamata One Big Beautiful Bill Act. Un nome che, nel migliore dei casi, suona come una sitcom di seconda serata.
Nel peggiore? Una manovra da oltre 2.000 miliardi di dollari di nuovo debito, tagli alle spese sociali e nuove agevolazioni fiscali senza copertura.
Insomma, “beautiful” lo sarà pure per Trump e soci, ma per chi compra Treasury? Neanche un po’.
Moody’s chiude la porta: l’ultima “AAA” è andata ‼️
La notizia vera però è arrivata da Moody’s, che ha deciso di togliere agli Stati Uniti l’ultima tripla-A rimasta, certificando quello che i mercati già sospettavano da tempo: l’America è ancora il centro del mondo anche se ha iniziato a perdere quel profilo da “safe haven assoluto” che l’ha resa invincibile per decenni.
E allora vai con:
Treasury a 30 anni sopra il 5%, massimo da 20 anni;
Treasury a 10 anni a 4,6%, roba che nel 2018 bastava a far congelare i dazi trumpiani;
Asta dei 20 anni con una domanda da mettersi le mani nei capelli: bid-to-cover a 2,46 (debole), rendimento a 5,047% (alto) e un tail che manco nel 2012;
È un mercato obbligazionario in rivolta silenziosa. Non urla, non sbraita, ma chiede interessi sempre più alti per comprare debito USA. E non è un dettaglio.
Regno Unito batte Cina. Almeno in una cosa 🎯
Nel frattempo, il Regno Unito è diventato – rullo di tamburi – il secondo detentore mondiale di debito americano, superando la Cina.
Una Brexit al contrario, dove Londra compra quello che Pechino ha iniziato a scaricare.
A conferma di una verità un po’ scomoda: il debito USA resta ancora la pietra angolare della finanza globale, anche se comincia a tremare sotto i piedi.
E non è finita qui. La BCE, di solito più diplomatica di un prete a un rave, ha detto chiaro e tondo che:
“L’imprevedibilità delle politiche USA potrebbe minare la fiducia nel dollaro e nei Treasury come asset rifugio.”
Tradotto: occhio ragazzi, se anche solo per sbaglio il dollaro smette di essere considerato la moneta più sicura del mondo, il castello salta.
📌 Riassunto per chi ha fretta (e paura):
🇺🇸 Gli USA hanno perso l’ultima tripla-A sul debito;
📈 I rendimenti salgono nonostante la crescita scenda (non un bel segnale);
🧠 I mercati iniziano a prezzare il rischio America;
🪙 Il dollaro ha perso l’1,5% in una settimana (tanto, per un FX major);
🧾 Alcuni fondi pensione asiatici potrebbero dover scaricare Treasury per legge;
E quindi? 💸
Niente panico anche se serve consapevolezza.
Il mondo obbligazionario sta cambiando pelle, e lo fa mentre i mercati azionari continuano a salire con l’entusiasmo di chi non ha ancora capito quanto costa un mutuo al 7%.
Il problema non è che i rendimenti salgano.
Il problema è quando salgono insieme al deficit, al debito e all’incertezza politica. Un trio che sa più di Sudamerica che di economia a stelle e strisce.
E mentre tutti cercano di capire se questo è solo rumore di fondo o un nuovo regime, l’unica certezza è che restare investiti con criterio, oggi più che mai, è un atto di lucidità.
Perché non si vince cercando il market timing perfetto, ma stando sul campo anche quando il terreno si fa scivoloso.
Dazi, Trump e altre sveglie sbattute in faccia 🚨
Svegliarsi con un tweet di Trump è come iniziare la giornata con uno schiaffo a mano aperta.
Ci sono giornate in cui ti svegli, accendi il monitor, leggi i future in verde, e pensi: oggi si respira. Poi scorri le notizie, e BAM: Donald ha di nuovo twittato.
O peggio: ha minacciato Apple con un dazio del 25% sugli iPhone. Proprio così, America First versione AirDrop bloccato.
E non è finita qui. Mentre i mercati tentavano di digerire l’ennesima uscita sopra le righe, il Presidente ha rilanciato: dazi al 50% su tutte le importazioni europee, a partire dal 1° giugno.
Sì, proprio mentre i consumatori USA cominciavano a respirare grazie a un’inflazione più contenuta.
Una mossa che – inutile dirlo – ha fatto tremare più le scrivanie di Wall Street che quelle della Commissione Europea. Anche se lì, tra una pausa caffè e una dichiarazione diplomatica, hanno già messo mano al faldone "ritorsioni".
Trump e la geopolitica della lavastoviglie 🪫
Il problema non è il dazio in sé, ma il fatto che nessuno capisce se ci sia un piano.
Un giorno è la Cina, il giorno dopo è l’Europa, poi magari tocca al Messico, o all’India. Qualunque Paese con un surplus commerciale e un ambasciatore un po’ troppo sorridente rischia la tagliola.
E mentre Apple si prepara a rivedere il pricing del nuovo iPhone 17 Pro Max Plus Ultra (ora anche con la tassa Trump inclusa), i mercati iniziano a chiedersi:
“Se bastano due tweet per ribaltare un ciclo economico… dove mettiamo i nostri soldi nei prossimi mesi?”
L’Europa? Presa di mira come al tempo dei dazi sull’acciaio 🇪🇺
Il messaggio è chiaro: Trump vuole alzare la tensione. E in piena corsa elettorale, punzecchiare l’Europa è facile, redditizio e zero rischioso a livello interno.
Dazi del 50% sono una dichiarazione di guerra commerciale, anche se travestita da politica industriale.
Colpiranno:
Auto tedesche (occhio a BMW, Mercedes, Volkswagen);
Prodotti di lusso (sì, anche la tua crema al tartufo preferita);
Vini francesi (di nuovo), prosciutti spagnoli, e chissà cos’altro;
iPhone più cari? Magari no 🍎
La realtà è che, anche se l’annuncio ha fatto rumore, i mercati non sono caduti nella trappola dell’isteria.
Apple ha perso qualcosa in borsa? Sì, ma ha già visto di peggio.
Le big europee hanno tremato? Forse un po’, ma l’idea che tutto il commercio UE-USA si fermi il 1° giugno è abbastanza lontana dalla realtà.
Insomma: è l’ennesimo episodio di quella soap opera chiamata “guerra commerciale”, che va avanti da anni e ormai ha imparato a convivere con l’indice S&P 500.
I dazi del 50% su auto, vini, prosciutti e accessori di lusso europei sembrano più un’arma retorica da campagna elettorale che una vera minaccia concreta. Nel frattempo, i produttori europei hanno strumenti, margini e supply chain abbastanza flessibili da schivare il colpo. O almeno da renderlo più scenografico che sostanziale.
UK: l’inflazione sale, ma non fa più paura ☕️
Londra chiama, il termostato sale, ma i mercati restano sereni.
Nel Regno Unito, ad aprile l’inflazione è risalita al 3,5%, dopo mesi di rallentamento.
I titoli dei giornali si sono subito lanciati in paragoni drammatici (“è la più alta da inizio 2024!”), ma guardando bene i numeri, il messaggio che emerge è molto più rassicurante: l’inflazione non è fuori controllo. Sta solo facendo l’ultimo giro prima di scendere sul serio.
Bollette su? Sì, ma non è una novità 💡
A tirare su il dato generale sono stati alcuni rincari tecnici:
le tariffe energetiche, che sono salite rispetto al crollo dell’anno scorso (normale effetto confronto);
l’acqua e le fognature, voci che non cambiano le nostre scelte quotidiane;
qualche tassa automobilistica aggiornata;
Tutto qui. Nessuna corsa ai supermercati, nessuna impennata nei beni di largo consumo.
Anzi: i prezzi di benzina, vestiti e scarpe sono scesi, segno che la pressione sui consumatori si sta allentando e che la concorrenza nei negozi funziona.
Bank of England: niente panico, solo prudenza 🏦
Gli operatori hanno leggermente ridotto le aspettative di tagli ai tassi, ipotizzando ora un solo taglio da 0,25% entro i prossimi 12 mesi.
Non perché ci sia un problema, semplicemente perché la fretta non serve. E quando l’economia tiene, si può anche aspettare il momento giusto.
I mercati finanziari l’hanno capito: niente scossoni, niente fughe.
La sterlina è rimasta solida, i listini inglesi hanno continuato a salire con calma, e gli investitori stanno tornando sul mercato in cerca di valore.
Anche questa settimana siamo arrivati alla fine della newsletter! Vediamo come si sono comportate le più grandi aziende al mondo:
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